La Hit Chart Top 20 è tornata in onda e tra gli ospiti della prima puntata della nuova stagione abbiamo avuto il piacere di chiacchierare con Nicolas Bonazzi che ci ha presentato il suo ultimo singolo “La mia cyclette”.
Con Nicolas Bonazzi non abbiamo parlato solo del nuovo progetto musicale, ma anche della sua esperienza a Sanremo Giovani nel lontano 2010 e di come è cambiato il rapporto tra musica e artisti con l’avvento dei social e dei talent show.
Tutto questo e molto di più nell’intervista che ci ha concesso Nicolas Bonazzi. Ecco quello che ci ha raccontato:
“Diamo il benvenuto a Nicolas Bonazzi finalmente tornato con il nuovo brano “La mia cyclette”, uscito in radio il 14 settembre, che ha un retrogusto un po’ amaro essendo nato durante il periodo di lockdown. Ci racconti come ci hai lavorato?”
Hai già spoilerato un po’ tu (sorride) è nato proprio guardando un giorno la mia cyclette in casa: tutti quanti noi ne abbiamo una parcheggiata così in qualche angolo della casa che diventa volendo anche un appendiabiti e ci guarda, facendoci sentire in colpa. Non la usa quasi nessuno ma sfido chiunque a non averne una in casa. Ogni tanto rimango affascinato da questi oggetti, perché se ci pensiamo è una specie di macchina del tempo; ci sali su, inizi a pedalare e pur non andando da nessuna parte se chiudi gli occhi puoi però viaggiare lontanto.
“La mia cyclette” nasce quindi da una sensazione molto amara da digerire, ma ognuno può trovarci qualcosa di personale da una delusione di una storia d’amore, come nel mio caso, o di una amicizia e così via; insomma da una situazione dalla quale chiudendo gli occhi si vuole fuggire via. Ed era l’unico mezzo possibile, durante il lockdown, visto che è nata in quel periodo, con il quale potersi muovere. La sfida è: riuscite a sentirvi fighi pur stando su una cyclette e non una supercar, contenti anche di essere un po’ sfigati?
“Sei laureato in Scienze della Comunicazione e appassionato di microsociologia. In questi tempi così presi dai social network, come li vedi tu nelle dinamiche della vita e soprattutto per quanto riguarda il tuo lavoro di artista?”
I social sono sicuramente ambivalenti grazie alla loro potenza, che hanno sia il lato positivo che quello negativo chiaramente, senza voler dire un’ovvietà. In questa giornata di down dei social mi fa sorridere che tante persone siano spaesate dalla situazione; è pazzesco come le nostre esistenze siano legate a filo doppio a tutto questo e che la mancanza degli stessi per qualche momento, faccia entrare tutti un po’ nel panico.
Un po’ come il lockdown dove eravamo fermi per imposizione e motivi gravi, però secondo me c’è stato qualcosa di positivo anche in quello. Ci siamo fermati tutti e abbiamo iniziato a guardarci meglio intorno: io ho visto la mia cyclette, magari qualcun altro avrà notato qualcos’altro di utile per la sua crescita. Ogni tanto fare un passo indietro non fa male secondo me.
“Nel 2010 partecipasti a Sanremo Giovani con “Dirsi che è normale” prodotto da Celso Valli il cui poi EP fu prodotto da Claudio Cecchetto. Che esperienza fu quel Sanremo? Tornando indietro lo rifaresti? Ti piacerebbe farlo nuovamente in futuro?”
Senza girarci intorno, per chi fa musica in Italia il palco di Sanremo è quello più ambito e sono stato contentissimo e fortunatissimo di averlo calcato. Non smetterò mai di essere grato al destino di avermi portato lì con un brano scritto da me tra l’altro e spero prima o poi di poterci tornare. Farlo in giovane età, anche mentale, è però sicuramente un po’ più complicato perché sei inesperto di tutta la macchina immensa che c’è dietro un evento così importante: era il primo grosso palco che calcavo. Se mi ricapitasse con il pezzo giusto, credo che lo farei meglio e me lo godrei anche di più.
“Nel 2014 avevi provato le selezioni anche di The Voice nell’anno in cui c’era anche Raffaella Carrà, ma alle Blind non si girò nessun giudice. Ti ha ferito quel rifiuto? Come hanno cambiato il modo di fare musica i talent?”
Non voglio essere bugiardo; è chiaro che in quel momento ci rimasi male, anche perché quando ci vai dai tutto te stesso, portando la tua arte, per dare il meglio di sé. Tra l’altro avevo portato una canzone a cui ero particolarmente affezionato, “Fast car” di Tracy Chapman, e sentirmi dire da alcuni giudici che non ero stato abbastanza nei panni della canzone mi aveva ferito tantissimo, anche perché io lo canto da quando avevo 12 anni. Mi avevano ferito molto non solo come artista, ma come fan proprio di quel brano che masticavo da tanti anni.
Col senno di poi però ti dico che è stato meglio così; sono soddisfatto della mia performance riguardandomi ma se fossi entrato nel programma probabilmente non l’avrei vissuta bene tutta l’avventura, soprattutto sul fatto magari di cantare anche brani non totalmente nelle mie corde. I talent sicuramente hanno cambiato il modo di fare musica: gli artisti famosi negli anni ’90 hanno dovuto adeguarsi anche loro a questa continua bulimia e velocità di musica che hanno portato i talent con la loro cultura sempre del ‘next’.
Se ti prende, ascolti un brano per 15 secondi e se ti colpisce molto arrivi ad ascoltarne altri 20, ma ascoltare tutto un brano, che poi durerebbe solo 3 minuti!, diventa un’impresa sempre più ardua. Questo a mio avviso uccide completamente la musica; piuttosto preferisco rivolgermi ad un pubblico che possa ascoltare per intero tutto un brano. Una cosa che a me ha shockato molto è vedere che questo meccanismo di bulima parte proprio dalle case discografiche, dove chi di dovere ascolta davvero 10 secondi di un brano e decide se scartarlo o meno; quindi se già lo fanno gli addetti ai lavori, figuriamoci il pubblico.
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