Prima puntata in diretta del 2021 con tante sorprese ed ospiti, tra cui anche Richi Sweet che ci ha raccontato di “Dedicata a me”, il suo ultimo brano.
Oltre a raccontarci del suo ultimo singolo, Richi Sweet ci ha raccontato cosa è per lui la musica e come è importante esprimersi attraverso se stessi e i propri “sfoghi”.
Ecco quello che ci ha raccontato ai nostri microfoni.
“Ed è con noi Richi Sweet! Partiamo subito con il parlare della tua esperienza a Sanremo Giovani 2020. Cosa secondo te non ha funzionato per portarti fino alla fine? Che ne pensi dei finalisti?”
Sincero? La mia inesperienza. Io venivo dai centri sociali, dai “Posso suonare?”, venivo da quel contesto lì, quindi mi sono trovato davanti ad Amadeus “per caso” e alla fine ho fatto una bella figura perché sono stato notato dagli addetti al settore. Sono molto contento di come è andata comunque, dato che non ero ai livelli di quelli che poi sono arrivati fino in fondo.
A me piace molto Fasma, lo conoscevo anche prima del Festival. Confrontandomi con lui, io mi sentivo un artista di serie C. E’ stata un’esperienza ovviamente unica, fantastica con tutto quello che c’è stato a Sanremo Giovani. E’ stata la mia prima vera occasione di confrontarmi su un palco serio, con un impianto anche serio e chi ha dato la possibilità di farmi conoscere.
“Il brano che portavi in gara si intitola “Dedicata a me”. Ti va di raccontarcelo e quanto è importante per te questo brano?”
Per me è un brano importante per il semplice fatto che è un messaggio di speranza. Io tocco sempre dei temi delicati perché, ahimè, li ho vissuti in primis sulla mia pelle. Ho toccato il tema delicato dell’alcolismo, della dipendenza da varie sostanze che purtroppo, per tanti ragazzi, sono importanti. Un messaggio di speranza anche perché io nel video parlo un po’ con il mio alter ego, come nella vita reale. Io sono così, faccio sempre a botte con il mio Io interiore, mi trovo in contrasto tipo 9 volte su 10 e l’ho voluto raccontare.
“Durante l’adolescenza, hai purtroppo subito violenza e bullismo per il colore della tua pelle, ma sei riuscito a trasformare tutto il trauma e dolore in forza. Che consiglio ti senti di dare a chi purtroppo ancora oggi soffre di questa orribile piaga? Si riuscirà mai a debellarla?”
Quando sei in mezzo a queste situazioni, come il bullismo che è una delle cose che ho subito di più nella mia adolescenza fino ad oggi, quindi una cosa non troppo lontana , l’unico consiglio più realistici che mi sento di dare è di trovare uno sfogo, che però non sia l’alcol, la droga, gli psicofarmaci che purtroppo vanno molto di moda tra i ragazzi, ma come ho fatto io nella musica, nello sport, nell’amore, nelle arti marziali in tutte queste cose che ti fanno un po’ deviare il pensiero del giudizio delle persone.
Per assurdo io mi sento più a mio agio sul palco che fuori. Chi mi conosce mi chiede come io faccia, ma sul palco io ho quella specie di corazza che mi si crea automaticamente, che mi fa dimenticare tutto, anche se ci sono un miliardo di persone. A volte fuori, tipo a un centro commerciale, mi capita di essere guardato e subito io ho quella sensazione negativa, causata da tutto quello che ho subito prima. Trovate uno sfogo.
“A 17 anni hai creato il tuo home studio in cameretta, cosa che forse in molti hanno realizzato durante i vari lockdown. Cosa rappresenta per te la musica?”
Per me la musica, come dico sempre, è un po’ come pregare. Ogni volta che scrivo e che canto live, in studio o in cameretta, è un auto preghiera: “dal Vangelo secondo Riccardo”, io la chiamo così la mia carriera musicale. In lockdown ho scritto una roba come 50 canzoni, senza scherzare, tra marzo e l’altro ieri. Io scrivo tutti i giorni. Qualsiasi cosa che vedo la riporto sul foglio, dell’Iphone, sul computer, su quello che mi capita a mano e cerco di scrivere tutto quello che vivo, anche se è duro, crudo.
Due mie canzoni del disco che è uscito “Resurrezione”, “Elisa” e “Kurt Cobain”, erano completamente molto più crude come brani e sono state riadattate secondo il concept radiofonico e discografico, però io scrivo come mangio. Ho notato che nonostante sia uscito in un periodo particolare dove potevo fallire dopo due minuti, quei due numeri che sto facendo grazie alle radio, alle interviste, tutto quello che sta succedendo è perché la gente si è scocciata della trap o del rap che parla di cose che non ha mai visto nemmeno nei film. Vuole un po’ di verità. Un mio amico mi definisce il “Ligabue del rap italiano” e io quello voglio essere.
“Anche per te, il 2021 è appena iniziato, e quindi cosa ti aspetti da questo nuovo anno? Quali sono i progetti in ballo e purtroppo in balìa degli eventi?”
Spero che finisca presto questo gioco a “Uno” giallo, verde blu, fuxia, arancione… (sorride). Una volta tolto questo Jumanji del 2020, il mio desiderio più grande è tornare a fare i concerti perché se riparte tutto dovrei avere un sacco di date e non vedo l’ora, dato poi che io mi esprimo meglio nei live. Una volta che sei sul palco, davanti alle persone, è lì che c’è l’emozione vera. Su Spotify quella roba lì non la senti.
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